XXIII domenica tempo ordinario- anno B

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Parola del Signore

Perché mai, Signore, resta così spesso disatteso il tuo invito ad “incoraggiare gli smarriti di cuore” e confortare chi attende la salvezza (Is 35,4-7a)?
Sarà forse che, noi per primi, ancora siamo smarriti e intimoriti come chi attende salvezza?
Eppure tu ci hai salvati già.
Hai nutrito la nostra vita col pane del Cielo; ci hai liberati dalla schiavitù del peccato; ci hai dato la luce perché non fossimo più ciechi, brancolanti nelle tenebre della storia; ci hai rialzato dalle cadute dei nostri propositi, orgogliosamente fallimentari; hai protetto la nostra vita peregrinante nel tempo, forestieri ed estranei gli uni agli altri; hai sconvolto le vie degli empi e degli iniqui, invitandoci a perseverare nella giustizia di chi ama sempre e comunque (cfr. Sal 145/146,7-10).
Perché mai, Signore, ancora la nostra vita è talora muta? La nostra lingua è annodata, irremovibile il groppo in gola che – progressivamente – pesa sull’anima e sclerotizza il cuore?
Perché mai?
Probabilmente perché ancora troppo poco abbiamo compreso e fatta nostra l’arte dell’ascolto.
Essa nasce – come ci dimostri oggi (Mc 7,31 – 38) – dal condividere profondamente la vicenda umana dell’altro, sapendo “sporcarci” le mani col toccare le sue infermità o povertà. Toccare e lasciarsi toccare: binomio imprescindibile per ogni dialogo autentico.
Solo allora, guardando oltre l’orizzonte di noi stessi, volgendosi al Cielo, potremo invocare quel Soffio capace di aprire ciò che è chiuso, sciogliere quanto legato, risorgere persino quel che è morto!
Se non entriamo in quell’amare che rende partecipi dell’altrui destino, rischiamo solo di “sbuffare” piuttosto che “sospirare” (ovvero “saper spirare”) l’Amore che tutto trasforma.
Perdonaci, dunque, perché chiediamo, assai spesso, agli altri di aprirsi mentre noi restiamo chiusi verso di loro.
Signore Gesù, fa che ogni Eucarestia sia un tuo “prenderci in disparte” per aprirci gli orecchi all’ascolto e poter parlare il linguaggio del Cielo che trasforma l’aridità del cuore in sorgente feconda.
Aperti dall’Amore potremo aprire all’Amore quanti porrai sul nostro cammino, fossimo pure in terra avversa o straniera come Tiro e Sidòne, allora, erano per te.
Donaci di lasciarci toccare da te nel profondo: sapremo toccare con la delicatezza che sana, guarisce, eleva, e mai umilia. Allora, quanti osserveranno, potranno dire di noi pure: “ha fatto bene ogni cosa”!

Amen