XIV domenica tempo ordinario- anno B

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Parola del Signore

Quanto complesse sono le relazioni umane, Signore, se non complicate – assai spesso – e pure tu ne hai fatto esperienza nella nostra quotidianità da te assunta e fatta tua.
Viviamo gli uni accanto agli altri e pensiamo o, peggio, pretendiamo di conoscerci a partire dalle nostre convinzioni, dai nostri concetti previ che divengono così preconcetti, piuttosto che conoscere accogliendoci reciprocamente per ciò che ognuno è.
Leggiamo la realtà senza lasciarci interpellare dalla realtà per comprendere cosa voglia dirci, finendo per non farle dire se non quanto vogliamo noi e ci aggrada.
Restiamo allora interdetti e non comprendiamo che la Divina sapienza ci vorrebbe dono profetico l’uno per l’altro; ci vediamo e ci scrutiamo dall’alto in basso invece di guardarci con l’apertura d’animo capace di renderci fiduciosi nell’accoglienza fraterna.
Ricordassimo spesso che ognuno è stato a noi “mandato” da te, Signore, e non solo fortuitamente “capitato” sulla nostra strada!
Sicuramente sapremmo vivere più nella gratitudine e nello stupore, piuttosto che nel risentimento o nel rancore.
Donaci perciò, Cristo Gesù, lo Spirito di sapienza per guardare agli altri con la semplicità di nulla valutare a partire da noi, se non la nostra disponibilità all’accoglienza che rende il cuore “casa” e, le relazioni, “famiglia”.
E qualora, dopo aver fatto tutto il possibile per vivere nell’unità – nostro malgrado -, provassimo il dolore del rifiuto, dell’oltraggio, dell’incomprensione che si fa giudizio tanto duro come “spina nella carne”, aiutaci ad accogliere ogni umiliazione come l’opportunità per non montare in superbia. Anzi rendila occasione per vivere nell’umiltà: unica cosa che può farci sperare di “conquistare” l’altro all’amore, rendendoci consapevoli che tu solo, Signore, sei la nostra forza anche nelle relazioni umane.
E se dovessimo persino – come san Paolo – convivere con qualsivoglia “messo di Satana, incaricato di schiaffeggiarci”, facci dire sempre e soltanto: “Signore, dammi la tua grazia perché la mia debolezza sia manifestazione della tua forza, e nulla più” (cfr. 2Cor 12,7-10).

Amen