XXXIV T.O. – Cristo Re anno C

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, dopo che ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Parola del Signore.

Quanto mai anacronistico, Signore, sembra oggi parlare di regalità mentre tramontano anche figure ritenute immarcescibili sul palcoscenico della mondanità. Ma la regalità vera, o meglio la “signoria” – non quella contraddistinta dal vantare “sangue blu” nelle vene – resta intramontabile.
Infatti cosa celebriamo quest’oggi? Cosa esaltiamo, come un valore da conseguire alla tua sequela?
La signoria del donarsi, il potere di mettersi a servizio, la regalità del salvare gli altri piuttosto che se stessi. La tua, Signore crocefisso!
E se sapremo seguirti, imitarti, sarà beatitudine…sarà Paradiso.
In fondo tutti cerchiamo il nostro piccolo “paradiso” ma troppo spesso lo vorremmo conseguire a prezzo del sangue altrui, esercitando i nostri piccoli e meschini poteri. Trasformiamo l’autorevolezza, che dovremmo avere, in autorità bieca che finisce per essere autoritarismo, schiacciando gli altri sotto le nostre aspettative e pretese.
Tu invece, o Maestro, ci insegni che regnare è servire e non servirsi degli altri; il potere da esercitare, quello dell’essere dono e non quello di estorcere e defraudare l’altrui felicità.
Per questo anche per noi – come per te sull’altura del Golgota – la regalità si certifica nel lasciarci mettere in croce, senza mettere in croce nessuno; la potestà si rivela nel non voler salvare noi stessi, scendendo dalla croce, ma salvando gli altri col restare fedeli nel dono di noi sempre e comunque; l’autorità risplende nel non precludere a nessuno l’opportunità di cambiare, foss’anche all’ultimo istante come per il ladrone pentito.
Donaci di comprendere, Signore Gesù, che proclamarti “nostro re” significa volerti seguire attraverso questa porta stretta che conduce alla vita, pur dovendo salire l’irto crinale dei nostri calvari.
Concedici di riconoscere che entrare nel tuo regno significa vivere la medesima tua regalità e potestà.
Dacci la volontà di perseverare con te in questa strada che, sola, conduce al Cielo, perché fatta d’amore. Allora sarà Paradiso pur stando appesi alla croce perché paradiso è l’essere in te e, con te, nel cuore del Padre.

Amen