XXXIII domenica del tempo ordinario – anno B

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Parola del Signore.

“Chi ha tempo non aspetti tempo” – recita un famoso adagio, Signore!
Eppure, nonostante ciò, troppo spesso tergiversiamo perdendo tempo e, in siffatto modo, ne depauperiamo il senso. Solo quando intravvediamo il limite, la fine delle cose, allora sembriamo destarci da quel torpore che svuota di senso e significato le “cose” stesse.
Sarà per questo che la tua Parola – giunti al termine dell’anno liturgico – vuole aprirci gli occhi e farci interrogare sul fine di tutte le cose, sul termine ultimo verso cui si muove la nostra stessa esistenza. E per farlo – usando un linguaggio apocalittico – ci pone davanti all’ineluttabile “fine”, patrimonio comune di ogni creatura sotto il Cielo.
Coscienti di questo, non ci lasciamo turbare neppure dal linguaggio duro del vangelo ma vogliamo accoglierlo, chiedendoci, prima che sia la fine, ovvero prima che sia troppo tardi, quale sia il fine della nostra vita. Sì, perché non sprecheremo il tempo che ci è concesso solo se sapremo viverlo in pienezza con la consapevolezza che non è illimitato, interminabile, scontato o dovuto, ma sempre un dono, ragione per la quale lo chiamiamo “presente”.
Aiutaci, allora, a domandarci quale luce ci illumina, fin da ora, cosicché quando la luce del sole verrà a mancare, o quella che rischiara pallidamente le nostre notti interiori – più che quelle del giorno – verrà a perdere completamente senso, possiamo non diventare prigionieri della paura; possiamo non restare attoniti e smarriti, dinanzi al palesarsi di qualsivoglia tenebra di prova, dolore o morte stessa, come se non avessimo più alcuna speranza.
Aiutaci a chiederci cosa può scaldarci il cuore se ciò che rischiara le nostre giornate venisse a mancare; cosa potrebbe fugare le ombre delle nostre notti se venissero a cadere tutti i punti di riferimento su cui abbiamo puntato tutto come astri nascenti; cosa potrebbe illuminarci l’anima se venisse meno quanto ci orienta pure nelle tenebre dell’esistenza?
Donaci di chiedercelo, Signore, e pure il coraggio della verità di sapere quanto abbiamo voluto conoscere, chiedendocelo…
Allora non tergiverseremo, sentendoci eternamente bambini che non vogliono crescere, o meglio maturare, ma impareremo a vivere il momento presente, potendo riconoscere i segni dei tempi come “col germogliare dell’albero di fico”.
Beati noi se, pur col passare di tutte le cose, non sentiremo venir meno la tua Parola, Cristo Gesù. Saremo nella notte, ma non nelle tenebre; saremo nel buio, ma non nello smarrimento; parremo esser giunti alla fine, ma non saremo altro che al compimento ultimo che è il nostro fine: Dio tutto, in tutti!

Amen