Pregando la Parola
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Parola del Signore.
“Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18): quanto è vero, Signore!
Eppure siamo capaci di costruirci relazioni che sono spazi di solitudine, steccati di circostanza, luoghi di durezza piuttosto che di durevolezza.
“Non è bene” perché il bene nostro sta nel realizzare il progetto originario di Dio: vivere in comunione.
Una vita che scopra l’unità nella diversità, dove l’altro è sempre “un aiuto che ci corrisponde” (cfr. Gen 2,18) e non un alterità da dominare o un nemico di cui diffidare.
Quanto ci siamo allontanati, Signore, da questo disegno divino primigenio. Forse retaggio del peccato che ha introdotto nell’animo, prima ancora che nella storia, la volontà di dominio piuttosto che di servizio.
Amor proprio che si serve dell’altro, lo soggioga, invece che servire l’altro col dono di sé, riconoscendolo e accogliendolo come “carne della propria carne e osso delle proprie ossa” (Gen 2,23).
Non è bene essere soli eppure ci siamo isolati per la durezza del cuore e, con cuore duro, abbiamo cercato e cerchiamo scappatoie alla nostra incapacità d’amare, adducendo agli altri responsabilità che sono nostre, o Signore.
Non sappiamo più amarci, come ripeteva Francesco per le vie d’Assisi quando andava gridando: “L’Amore non è amato”!
Non è amato nel creato, e deturpiamo il “giardino” che ci fu affidato. Non è amato nel prossimo – uomo o donna che sia – e corrompiamo la natura del donarci con l’avidità dell’accaparrarci qualcosa ad ogni costo. Non è amato non amando te, Signore, e snaturiamo l’identità nostra di creature tue. Diventiamo soli nel mondo, mentre il mondo pullula di vita per noi; soli con noi stessi, mentre gli altri ci eran dati per colmare la nostra solitudine; soli sotto il Cielo, mentre il Cielo ci fu aperto per esser con te…
Per la durezza del nostro cuore incapace d’amare facciamo l’esperienza di ciò che “non è bene” per noi.
E come hai voluto salvarci, o Signore?
Entrando tu stesso dentro l’esperienza di questa durezza, dentro la conseguenza che ne è scaturita: la sofferenza e il dolore.
Per “togliere da noi il cuore di pietra e darci un cuore di carne”, capace di vivere quel bene dell’amore che spezza la solitudine e crea comunione, ti sei lasciato “spezzare il cuore” perché fossimo santificati e tornassimo assieme dalla “stessa origine” cui siamo provenuti (cfr. Eb2,9-11): il cuore del Padre.
Ci hai salvati, Signore Gesù, ed hai pure inaugurato la via della perfezione attraverso le sofferenze che patiamo noi pure, seguendoti, piuttosto che scansarle per la durezza del nostro cuore.
Allora non ci vergogneremo, come te, di chiamare fratelli e sorelle coloro che non sono amabili, ma li ameremo “per amor dell’amor tuo”.
Amen