XXVI domenica del tempo ordinario – anno A

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Parola del Signore

Tra il dire e il fare, o Signore – lo afferma anche un popolare adagio -, c’è di mezzo il mare!
Se poi l’agire implica il fare con fatica, il sacrificarsi, lo spendersi alacremente per compiere una volontà non nostra, questo mare sembra un’oceano innavigabile.
Respiriamo cosi tanto di questo mondo, inflazionato dalle parole, che pure noi siamo tentati di andar dietro alle parole, magari dette per farci belli, per apparire o – nella più rosea delle situazioni – per non deludere le attese altrui.
Ci mettiamo l’agevole maschera del “politicamente corretto” o del “conveniente” nel sembrare come dovremmo essere. Ma sembrare non è essere.
Come non riconoscere tutto questo nel primo figlio della parabola odierna e dover ammettere che vive in ciascuno di noi. Quel figlio che resta incantato dalle “cose” importanti che il lavorare nella vigna del tuo regno, con amore e per amore, comporta ma che, al contempo, non vuole “faticare” per realizzare con il proprio sporcarsi le mani, dovendosi abbassare perché la “terra è bassa”.
Accanto ad esso, però, convive l’altro figlio, quello “ribelle” – forse come lo sono gli adolescenti, non ancora maturi – che recalcitra perché vorrebbe fare quello che gli pare, piuttosto che ciò che è giusto. Quel figlio che talora sbaglia, cadendo nel peccato come i pubblicani e le prostitute del vangelo ma che, nonostante tutto, resta sensibile alla paternità dell’amore divino da lasciarsene illuminare proprio perché senza il filtro, la maschera del perbenismo; questo figlio che bofonchia ma poi compie la volontà del Padre.
Ecco, Signore, lo dobbiamo confessare: in noi persiste, a fasi alterne, l’uno e l’altro figlio!
Come uscire da questa dicotomia lacerante?
Per bocca dell’apostolo Paolo, oggi, Signore ci mostri la strada. Esiste anche il figlio maturo, responsabile, degno del termine “figlio” proprio perché autentico: tu, Cristo Gesù!
Tu sei il figlio obbediente che non appare, non sembra bravo, e che lo è veramente, pronto ad “abbassarsi” non solo fino a terra ma anche fin sotto terra con la morte e la morte di croce.
Donaci, Signore Gesù, di imparare da te; di lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito, affinché ci conformi a te, tanto da avere in noi gli stessi tuoi sentimenti: saremo figli coerenti e, soprattutto, autentici nell’amare!

Amen