XXI domenica del Tempo Ordinario – anno C

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.

Parola del Signore.

“Sono pochi quelli che si salvano?”, ti chiese quel tale mentre anche tu, Signore, eri in cammino verso Gerusalemme – segno e paradigma del nostro essere tutti in viaggio verso la Città celeste -, col solito approccio pessimista che ci contraddistingue. Non sarebbe stato più bello chiederti se siano “molti quelli che si salvano”, riconoscendo così anche l’efficacia della tua missione visto che sei venuto nel mondo per salvarci?
Ma no, non è da noi!
E tu, Signore Gesù, nuovamente ci aiuti a comprendere che la salvezza non è questione di quantità ma di qualità. Non è una realtà da rivendicare come diritto acquisito perché appartenenti a questo o a quel gruppo, a questa o a quella religiosità, all’essere “frequentatori” o meno delle situazioni in cui possiamo desumere che vi sia la tua “presenza”. La salvezza passa attraverso una qualità dell’essere in relazione con te; una relazione da stabilire, costruire, realizzare – come tutte le relazioni – con “fatica”, impegno, abnegazione. Sforzandoci di entrare attraverso la porta stretta della spoliazione del nostro ego, per poter incontrare il tu dell’altro. Tanto più se quell’Altro, in cui entrare in relazione, sei tu Signore. Entrare in relazione con te con quelle potature che ti permettono di entrare in noi stessi e lasciarci condurre a Casa assieme a te.
Sforzarci di entrare!
Quante cose ci ingombrano; quante ci sovraccaricano a tal punto da diventare fardelli, che non solo non fanno entrare ma neppure più camminare. Come non dovremmo alleggerirci da tutte quelle sovrastrutture che ci chiudono in noi stessi e non permettono di entrare in relazione con gli altri, con Dio e, alla fine, neppure con noi stessi, perché occultano quello che siamo veramente?
Quanto dovremmo imparare a “sfrondare” non solo per entrare per “la porta stretta” ma anche per uscire dalla porta larga del nostro qualunquismo esistenziale.
Aiutaci, o Signore, a purificare il nostro io esondante, rendendoci essenziali nella verità di quanto siamo e possiamo diventare assieme a te. Saremo capaci di un’autentica relazione con te, senza ritenerci salvi per un’appartenenza formale ma sostanziale alla fede; senza quella supponenza che ci fa presumere di essere tra i “primi della classe” ma con l’umiltà di chi si sente fra gli ultimi, ritenendosi sempre bisognoso di essere aiutato e corretto – come un padre col proprio figlio (cfr. Eb 12,6-7) -.
Eppure, oggi, verrebbe da domandarci se ci interessa ancora il tema della “salvezza”.
Forse questo è il nostro problema…
Sentiamo ancora il bisogno di essere salvati in un mondo, come il nostro, in cui tutto verte alla risoluzione delle cose, se non alla loro sostituzione. Fuori della logica consumistica, un tempo quando qualcosa si “rompeva” si cercava di “ripararla”…oggi si butta. Anche perché – nell’odierna esaltazione dell’apparire – pure i segni delle cose aggiustate sono diventati intollerabili! Guai a tenere i segni del tempo vissuto, guai alle cicatrici, alle rughe, alle imperfezioni che, tuttavia, ci rendono unici, perché contribuiscono a fare di noi quello che siamo.
Vogliamo ancora essere salvati? E da cosa?
Vogliamo essere salvati dalle malattie – e ne abbiamo ben fatto esperienza nella pandemia -, dalle preoccupazioni, dalle difficoltà – sebbene siano proprio quelle a limare il nostro ego -, dalle guerre – che sempre ci sono, non solo ora alle porte del nostro continente europeo -, dall’ansia per il domani, dalla paura per i nostri cari. Ma essere salvati dalla morte e da quanto ci fa fare, fin da ora, la sua esperienza – e che chiamiamo peccato -, vogliamo “essere salvati”? In questo mondo in cui più nulla pare esser peccato e la morte viene, costantemente, occultata, c’è ancora bisogno di sentirci salvati? C’è ancora bisogno di un Salvatore? C’è bisogno di te, o Maestro?
Apparentemente e drammaticamente, non sembra!
Ma quello che sembra, quasi sempre, non è. Forse proprio ora, ancor più che una volta, abbiamo bisogno di te, seppure siamo così anestetizzati dal rendercene conto davvero.
Concedici dunque, Signore, che sfrondati dal superfluo – che ci impedisce di entrare in relazione con te e con noi stessi – possiamo scoprire l’essenziale nostra fragilità che ci rende bisognosi salvezza. Sapremo camminare, assieme a te, “diritti coi nostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire” (cfr. Eb. 12,13).

Amen