Pregando la Parola
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Parola del Signore
Quante volte anche noi, Signore, come Elia “fuggiamo”, (1Re 19,9.11-13) per le nostre paure, delle responsabilità, degli altri, da noi stessi e persino della vita.
Fuggiamo e ci rinchiudiamo per molto meno che Elia – profeta della fedeltà alla Parola – in anfratti o grotte che sembrano nasconderci agli altri ma, in realtà, occultano noi a noi stessi. Ci nascondiamo e perdiamo la nostra identità che brilla unicamente alla luce del sole, alla luce della tua presenza.
Per questo la tua voce ci raggiunge ancora, oggi come allora: “Che fai qui?”
Elia si nascose affermando che era per lo zelo del tuo nome; ma noi quale scusa o alibi potremmo evocare? Nessuna; mera e oscura paura!
E noi, come lui, vorremmo trovare sicurezza nella tua presenza inequivocabile, palese come fuoco divorante, vento prepotente o terremoto eloquente. Invece occorre la fiducia nel saperti presenza discreta e silenziosa, come mormorio di vento leggero.
Mistero di una presenza, la tua, che lascia liberi di poterla scorgere in un’apparente assenza.
Realtà dell’Amore che arde, ma non consuma; si abbatte imprevisto e improvviso, ma non schianta; scuote ma non rade al suolo. Realtà che tutto inebria come il vento leggero che carezza le vele per viaggi inimmaginabili; dispiega le ali per voli pindarici; alimenta i polmoni di quell’ossigeno soprannaturale senza il quale non sarebbe Vita la vita.
Amore che genera quella fede che sa scorgere e leggere i segni piuttosto che esigere i segni per aver la fede!
Elia maturò questa fede e, uscendo dal suo nascondiglio, non volle neppure vedere per avere certezza che tu ci fossi, ma si coprì il volto certo che c’eri.
Quanto vero che per chi crede nessun segno è necessario mentre, per chi non crede, nessun segno è sufficiente.
Questa stessa fede dovette maturare Simone il pescatore, imparando a confidare nella tua presenza, Signore Gesù, pur in mezzo all’imperversare della tempesta.
Voleva avere il segno che fossi veramente tu – a camminare sulle acque incontro a lui – non un mero fantasma, un’illusione della mente, una suggestione dell’anima per sedare la paura. E che segno volle? Poter camminare sul mare, lui pure.
Tuttavia finí col credere in te non per la possibilità concessagli di venirti incontro sulla precarietà delle onde, ma mentre affondava tra i flutti impetuosi in preda al terrore.
Il “dubbio” resta pure per noi il banco di prova della fede.
Come superarlo?
Non certo guardando a noi stessi, alle nostre capacità, esigue, quanto le punte degli alluci che troppo spesso rimiriamo a capo chino – per le spalle incurvate dal peso della storia -, ma solo guardando a te, o Maestro, cercando il tuo sguardo, perdendoci nel tuo volto.
Sì, o Signore, perché solo contemplando un volto possiamo sperimentare la realtà dell’amore e, senza l’amore, non esiste fiducia né verso il Cielo né verso la terra.
Quante volte vorremmo un quieto mare per le nostre navigazioni a vele spiegate, mentre solo nelle tempestose burrasche della vita possiamo fare esperienza di un mano amica – la tua, Signore, come quella fraterna di qualcuno che ci metti accanto – capace di strapparci alla nostra poca fede nell’Amore; quell’Amore che solca ogni mare in ogni tempo. E se affondiamo, tendici una mano, Signore, e attiraci a te. Se sei tu a starci innanzi – venendoci incontro nel bel mezzo della nostra notte – anche quella di un amico sarà la tua carne, nella sua, a trarci in salvo.
Affondare con te è meglio d’ogni approssimativo galleggiare in noi stessi. Donaci di vivere in questa certezza, Cristo Gesù!
Amen