V domenica di Pasqua- anno B

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Parola del Signore

“Rimanere” che bel verbo, Signore!
Un verbo che parla di costanza, di fedeltà ad un dono ricevuto prima ancora di ogni qualsivoglia impegno da porre in atto.
Rimanere uniti a te col tuo restare in noi.
Si, perché possiamo “rimanere” solo se sei tuo a rimanere; opera di custodia, la nostra, che genera l’esser da te custoditi, benché tu stesso ci precorra nell’averci inseriti in te.
Allora donaci la gioia del perdurare, del rimanere, della fedeltà, senza rincorrere la velleità di novità apparentemente più appetibili.
Rimanere per portare frutto: promessa di fecondità della vita, la tua, Signore Gesù. Cartina al tornasole per verificare dove sia, la nostra. Infatti ogni nostra sterilità non rivela altro che il non esser più in te, Cristo Gesù!
Ecco allora apparire la “cesoia” del vignaiolo che può incutere la paura del giudizio ultimo del Padre sulla nostra vita sterile. Ma, al contempo, strumento premuroso anche per chi – pur producendone già – è chiamato a portare molto più frutto. Tra giudizio e potatura si dipana l’agire dell’agricoltore, o Gesù.
Eppure, anche le potature, non ci piacciono e se i tagli del giudizio ci spaventano, quelli delle potature ci intimoriscono.
Per accogliere quest’ultimi occorre la fiducia, il credere che sono tagli necessari per un rinnovato inizio, un crescere, un fruttificare, e non per la “fine”. Ecco perché, il discepolo amato, ci ricorda oggi che la prima opera da compiere è “credere”.
Non ci piacciono le potature, è vero, ma concedici di amarle come necessarie in vista del futuro raccolto; amarle sebbene nel presente ci possano far soffrire.
Un dinamismo che non ci faccia mai ritenere arrivati, mai dare per acquisito il nostro esser tuoi discepoli. Donaci, perciò, la sapienza che ci renda consapevoli che – sebbene tu ci abbia fatti tuoi discepoli con l’unirci a te, quali tralci nella vite – noi siamo chiamati a divenire ciò che tu ci hai reso.
Facci portare frutto col nostro credere e amarci vicendevole; portare frutto col divenire giorno per giorno, sempre più e meglio, tuoi discepoli.
Saremo tralci rigogliosi e fecondi da ora e per sempre.

Amen