Corpus Domini – anno A

Pregando la Parola

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Parola del Signore

“Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto…” (Dt 8,2-3.14-16), imperativo categorico che, in realtà, non impone nulla ma libera da tutto. Sì, o Signore, perché senza memoria non c’è verità e senza verità non è possibile alcuna libertà.
Ricordare!
Che meraviglioso “comando”, specie per noi malati di dimenticanza. Se non ricordiamo da dove veniamo, il cammino che abbiamo intrapreso, l’esperienza che abbiamo vissuto, come potremo mai sapere dove possiamo e dobbiamo andare?
Saremmo più vagabondi che pellegrini; più raminghi o girovaghi che viaggiatori verso la meta!
Con quanta facilità scordiamo quanto dovremmo scolpire nell’animo, assai più che sulle epigrafi di pietra che popolano i nostri memoriali.
Eppure tu ci inviti a fare memoria del cammino e, al contempo, delle prove che lo hanno segnato. Perché ci metti alla prova, Signore, pur sapendo la caducità della nostra condizione e la irresolutezza della nostra volontà?
Perché, lo dobbiamo confessare, senza le prove non avremmo consapevolezza di quanto abbiamo.
Quali “prove”?
Quelle nelle quali sembri volerci “sottrarre qualcosa”, sebbene sia solo per farcene comprendere il valore incommensurabile.
Quante volte abbiamo il dono della salute, ma solo quando ne siamo privati ce ne rendiamo conto. Quante volte abbiamo persone importanti accanto a noi e, solo dopo averle “perdute”, ci rendiamo conto di quanto fossero essenziali. Quante volte sprechiamo il tempo a nostra disposizione, credendo sia illimitato, e solo quando ci sfugge tra le mani – come sabbia nella clessidra – ci rendiamo conto che non avremmo dovuto perdere neppure un istante per vivere piuttosto che lasciarci vivere dalla frenesia degli aventi. Quante cose, Signore…
Allora, pur con la fatica di attraversare la prova, ti dobbiamo ringraziare perché, umiliati, scendiamo ad una più giusta considerazione di noi, un equo apprezzamento di ciò che abbiamo, un’adeguata coscienza che, senza di te, saremmo nient’altro che polvere come questo deserto che sia chiamati ad attraversare.
Consapevoli di ciò che abbiamo, sapremmo essere felici del molto ricevuto piuttosto che rammaricarci del poco che ci pare mancare (cfr. 8,16).
Donaci dunque di saper accogliere ogni prova e umiliazione non come frustrante disgrazia ma come opportunità per godere di quanto, con la tua mano provvidente, ci elargisci nei giorni affannati e distratti in cui non sappiamo dire grazie, ritenendo dovuta ogni cosa.
Tutto è dono; tutto è grazia!
E come sapremmo farlo, o Maestro, se non fossi tu a tener vivo questo sacro fuoco interiore?
Eccoti, dunque, farti nostro cibo e bevanda. Non solo per darci la forza per compiere il viaggio ma pure per custodire la memoria di chi siamo o, meglio ancora, di chi saremmo senza di te: gente votata alla morte.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” – ci dici.
Anche questo dimentichiamo, pur quanto siamo intenti della più gratuita filantropia o carità: senza la promessa della resurrezione futura, che senso avrebbe il bene compiuto se tanto si estingue con noi?
Mangiare di te per vivere – con scopo certo e senso compiuto – quell’amore che, disseminato nel tempo, fiorirà nell’eternità beata.
Può forse “morire” chi vive dell’amore – seppur imperfetto che sia, per noi -, se l’amore è partecipazione della vita che è Dio?
Ogni pur minimo atto d’amore è preludio dell’eternità divina perché Dio – l’Eterno – è amore.
Donaci, pertanto, Signore Gesù, pane vivo disceso dal cielo – deposto profeticamente fin dal principio nella mangiatoia di Betlehemm, casa del pane – la fame di te perché il ricordo divenga memoria; la memoria radichi il domani; il domani illumini il presente; il presente sia opportunità di donarci, con te, pane spezzato per la fame d’amore del mondo attuale…preludio di quello futuro, a venire.

Amen